Dariusz Sankowski Pixbay |
Agente di viaggi: una professione da rottamare?
Mi sto avviando verso il sessantesimo anno d’età che a dire il vero sarà il prossimo aprile e nello stesso tempo mi avvierò al mio quarantesimo anno da “agente di viaggi”.
Dopo quaranta anni di servizio in questo settore, ha ancora un senso chiamarsi
“agente di viaggi”
Non è che questa professione sia arrivata al capolinea come lo fu per tanti altri gloriosi mestieri?
La via dove abito qui a Roma, come tante vie, tante piazze delle nostre città, dei nostri paesi, testimonia quello che è accaduto negli ultimi anni.
Dove oggi ci sono serrande chiuse da tempo, già molto prima del Covid, ci stava “Sor Angelo, il fornaro che teneva la penna sopra il lobo dell’orecchio destro”, “Sor Gianni er macellaro” che aveva una testa di toro appesa alla parete della sua macelleria, “La Sora Maria che vendeva la frutta”, e poi “Onorino il barbiere” con il cavalluccio per i bambini.
Ma non ce ne stava solo uno di negozio di alimentari.
Nella stessa via che è una via di un normale quartiere, ci stavano quattro negozi di questo genere, e ci stavano tre negozi che vendevano la carne, ci stava la cartoleria dove noi ragazzi compravamo il materiale che ci serviva per andare in classe, ci stava la tintoria dove i più agiati portavano la biancheria a farla lavare e stirare, ci stava il “pesciarolo” che il martedì e il venerdì arrivava con il pesce fresco, e poi ci stava una grande ferramenta dove tutti i giorni era un pellegrinaggio di carpentieri, idraulici, fabbri che andavano lì a comprare tutto quello che gli serviva per il loro lavoro.
Il sarto che ti cuciva su misura il vestito per le cerimonie importanti, “il giornalaio” con la sua edicola sempre piena di quotidiani e di riviste, quello che quando ti vedeva arrivare ti preparava il “tuo giornale”.
Ci stava il bar dove ci si riuniva, dove si andava a comprare il “Latte della Centrale” (quando a Roma esisteva solo questo tipo di latte) e dove quelli più anziani si facevano la partitella a carte.
Si andava nella via principale del quartiere perché lì trovavi i negozi più di tendenza: il grande negozio di abbigliamento dove il proprietario e i commessi sapevano tutto di te, conoscevano a memoria le tue taglie, la misura del collo della camicia.
Nella via principale ci stavano i negozi che vendevano i tessuti, il “mobilificio” dove quando compravi un armadio, un tavolo, ti duravano per anni e anni.
Trovavi il negozio di elettrodomestici che aveva tutte marche italiane, ci stava la “gelateria” dove i gusti erano al massimo cinque, il ristorante dove spesso si svolgevano anche i banchetti delle prime comunioni e dei matrimoni, la pizzeria con la tovaglia di carta.
Nel mio quartiere come in tutti i quartieri ci stava il “mercato rionale”, con le bancarelle, con i vari personaggi che lo trasformavano in una sorta di “teatro all'aperto”, con le voci dei venditori che si confondevano tra di loro, proponendo la loro merce.
Era un mondo fatto di relazioni, ci si conosceva, ci si fidava, ci si rispettava anche tra negozi concorrenti.
Andare a fare la spesa era anche un pretesto per scambiare delle chiacchiere, per parlare della partita di calcio.
Vedere a quei tempi un’agenzia di viaggi era quasi un miraggio e nei posti dove qualche pioniere aveva iniziato a svolgere questa attività, quel luogo era come il “Poster” della canzone di Baglioni, quando in una fredda banchina del metro lo sguardo di chi stava attendendo andava a un poster della Tunisia... e gli veniva voglia di andare lontano, lontano.
Poi è accaduto tutto quello che è accaduto: la globalizzazione, la digitalizzazione, la informatizzazione, le app, la liberalizzazione, e tante altre belle parole che riempiono le nostre giornate e di cui tutti, nessuno escluso, ne beneficiamo, hanno fatto sparire tutto quel tessuto di relazioni che era il nostro mondo di ieri.
Essere agente di viaggi ci faceva sentire di essere una categoria privilegiata, quasi invidiata, perché noi potevamo andare con facilità dove gli altri sognavano di andare.
Aspettavano che noi tornassimo da quei luoghi esotici per ascoltare i nostri racconti e dirci “beato tu che viaggi” "quando riparti?"
Eravamo una categoria di privilegiati e nella maggior parte dei casi eravamo anche persone con una grande preparazione tecnica ed umanistica.
Molti di allora, pionieri lo sono stati davvero, hanno portato in Italia destinazioni di cui non si sapeva nulla, hanno creato da zero grandi Aziende che hanno dato lavoro a tante tante persone.
Grazie a noi privilegiati, migliaia e migliaia di persone hanno scoperto il mondo, hanno potuto viaggiare in estrema sicurezza, hanno avuto sempre persone al loro fianco che non li hanno mai abbandonati.
Oggi, questa categoria, come tante altre categorie che non esistono più o si sono trasformate (l’osteria è diventata il wine bar, la gelateria che vendeva cinque gusti ma fatti ad arte oggi è un franchising, e il gelato è uguale in ogni punto vendita, il ristorante è stato sostituito da altre forme di ristorazione che affidano i loro pasti a dei “riders” che con le loro borse gialle li portano a casa delle persone, il fornaio è diventato la boutique del grano e vende pane di ogni tipo ma non trovi più il “casereccio”…) per molti è da rottamare, non ha più senso di esistere, anzi perché aiutarle se ormai anche i soldi che ci arriveranno dal “Recovery Fund” dovranno essere investiti in digitalizzazione, in “smart working”, in “green economy”. ?
E chi sta dentro questo settore come si deve sentire?
Un peso inutile per la collettività, un “dinosauro” da tenere in un museo preistorico?
Si deve sentire in colpa per avere creduto in un progetto di vita, e aver interpretato al meglio quel suggerimento che dice che il miglior successo è “fare il lavoro che ami” ?
Purtroppo però il Covid è arrivato a distruggere anche quelle ultime speranze su cui molti di noi credevano ancora, probabilmente accecati dalla passione, che questo lavoro fosse inossidabile.
Il “castello di carte” è venuto giù e non poteva essere diversamente, quando un’attività che vive di spostamenti non ha più un luogo dove poter far spostare le persone e non basta farle spostare nella “prossimità”
Nelle aziende del settore, siano esse piccole realtà che grandi Aziende, gravitano tante persone. Se manca la materia prima tutto si ripercuote a catena, creando ulteriori danni che si vanno a sommare a quelli già creati dal virus.
Questo in uno Stato che oggi cerca di poter fare quello che può fare con i mezzi a disposizione per sanare dei drammi che oggi si sono amplificati, ma sono il frutto di anni e anni in cui questo Stato è stato spolpato, mal governato, uno Stato fatto spesso di trame oscure, lo Stato della Mafia, della criminalità organizzata, del terrorismo, della P2.
Lo Stato che nel passato concedeva favori a tutti, creando posti in eccesso nella Pubblica Amministrazione pur di prendere voti, uno Stato che ha generato stipendi e pensioni stellari, uno Stato che ha distrutto la Sanità Pubblica.
Mentre scrivo queste parole non so se lo sto facendo per rabbia o per rassegnazione.
Da una parte vorrei incazzarmi e scendere anche io in piazza come hanno fatto tanti colleghi e colleghe, a cui va tutto il mio applauso, probabilmente più incazzati di me, ma nello stesso tempo, forse perché a sessanta anni vorresti “rilassarti” dopo tanti e tanti anni di servizio, mi chiedo se questo Stato meriti la mia incazzatura, uno Stato che quando ho avuto bisogno non mi ha dato nulla e ho dovuto sempre far leva sulle mie ultime residue energie, prima che soccombessi..
A sessanta anni ci si vorrebbe rilassare, avrei voglia di stare tra i giovani e raccontare loro la mia vita da “agente di viaggi”, i miei quaranta anni trascorsi nelle agenzie, trasmettergli la mia esperienza, la mia competenza, aiutarli a crescere, farli diventare dei veri professionisti.
Vorrei trascorrere le mie giornate, facendo quello che sto facendo di più in questi giorni: scrivere, scrivere e raccontare viaggi, esperienze.
Ed invece sono ancora qui a dovermi chiedere “cosa farò da grande”, perché in questo Stato a sessanta’anni non sei più giovane, ma non sei neanche anziano.
Ci hanno detto che per arrivare ad avere un misero obolo di pensione (perché noi agenti di viaggi non possiamo aspirare alle pensioni d’oro) dobbiamo ancora lavorare e produrre.
Ci hanno detto “oggi puoi essere l’imprenditore di te stesso” e allora ti apri una partita Iva per essere imprenditore di te stesso, ed entri in un “tunnel pericoloso” di tasse e contributi da versare.
Non hanno di te pietà neanche quando non puoi vendere nulla.
Ti dicono “ti posso dare massimo 600 euro, fattele bastare”.
Ma anche questa volta non mi arrenderò, non gliela darò vinta a chi vuole vederci finire come quelle macchine che stanno dentro gli sfasciacarrozze in attesa di diventare una lastra.
Finché avrò la forza, la determinazione, e l’energia non butterò al vento tutti i miei anni passati in questo settore, anni di cui sono fiero e non me ne frega niente se chi mi dovrebbe tutelare, come rappresentante dello Stato Italiano che gestisce il Ministero da cui dipende il nostro settore, è il primo a ritenere il nostro settore un settore ormai defunto.