sabato 22 agosto 2020

Estate in smartworking: il racconto di un agente di viaggi

 

L’anno era iniziato nel modo più tradizionale: riflettendo su quello appena trascorso, sugli obiettivi raggiunti, i desideri realizzati, i progetti ancora da sviluppare.

Il bilancio era piuttosto positivo. Il 2019 mi aveva regalato delle belle soddisfazioni sia in ambito privato sia in quello professionale e tutto questo mi permetteva di poter guardare al nuovo anno con un forte carico di energia e di positività.

Avevo ripreso a studiare la lingua inglese di cui sentivo la necessità di farlo, avendo intensificato i rapporti professionali con clienti e fornitori internazionali.
Mi ero iscritto a una sede vicino il mio ufficio in modo da potermi fermare lì, durante il percorso e farmi la mia ora di lezione.

Per il mese di aprile era in programma un viaggio che avrei dovuto compiere in India per partecipare a un importante evento turistico mondiale. Sarebbe stato un valido test per esercitare le nuove conoscenze in lingua inglese.

Nel campo professionale, stavo seguendo una serie di viaggi di un certo spessore per clienti importanti provenienti dagli Stati Uniti e dagli Emirati Arabi, oltre a diverse richieste che mi erano pervenute da clienti fidelizzati per viaggi da eseguirsi in primavera estate.

Nel mese di Gennaio avevo partecipato e sponsorizzato con la Società turistica di cui sono Direttore Tecnico e responsabile operativo un evento che si era tenuto presso la Sala Fellini a Cinecittà, preludio per un successivo evento che si sarebbe tenuto a settembre a bordo di una nave da crociera.

Nel mese di febbraio, come tutti ben ricordiamo, delle nubi nerastre cominciano a offuscare il cielo italiano.

(Alois Wonaschutz Pixbay)


Tutti le guardiamo con ansia, però nello stesso tempo siamo convinti che le nubi andranno via e tornerà il sole. Lo pensano anche le nostre più alte Autorità, al punto che tardano a prendere delle decisioni che con il passar del tempo non potranno più essere rimandate.

Ci ritroviamo dentro un qualcosa cui nessuno di noi era abituato, neanche le persone più anziane che hanno vissuto sicuramente momenti difficili e complicate nelle loro vite.

Quelle nubi nerastre si trasformano in immagini di sofferenza, di morte e portano nei nostri cuori e nelle nostri menti quei sentimenti che si vorrebbero evitare, ma inevitabilmente ci aggrediscono in simili situazioni: ansia, paura, incertezza, solitudine. 

In una prima fase ho provato un senso di disorientamento nel chiedermi 
“adesso cosa faccio?”

Nel giro di pochi giorni abbiamo dovuto come annullare tutte le nostre vite precedenti, fatte di abitudini, di riti, di azioni, a volte fastidiose (per me poteva essere il traffico, la folla in metropolitana, il rumore) e a volte piacevoli (stare con i familiari e gli amici, l’incontro in ufficio con i collaboratori, il caffè prima di iniziare a calarci negli impegni del giorno).

Ricordo ancora quei primi giorni in cui mi svegliavo sempre alla stessa ora, mentalmente convinto che dovessi percorrere la stessa strada per andare alla fermata della metropolitana e invece avevo davanti a me una lunga giornata da organizzarmi a casa: avevo però tutti gli strumenti necessari per trasformare una stanza in un ufficio virtuale?

Ricordo ancora quelle prime volte che si usciva nelle ore in cui c’era concesso di poter varcare il portone dei nostri domicili e si andava in quei luoghi che erano gli unici che avessero ancora una parvenza di continuità con il passato: la farmacia, il supermercato, il negozio di generi alimentari, la macelleria.

Luoghi dove ci si ritrovava, ci si metteva in fila, chi con la mascherina chi senza (inizialmente neanche si sapeva quale mascherina, avremmo dovuto indossare), nascevano amicizie spontanee, si cercava di allentare la tensione con qualche battuta. 
Il tempo di prendere “i beni di prima necessità” e dovevamo tornare nelle nostre case che nel frattempo erano diventate uffici, scuole, sale d’incisione, palestre, cooking class, aree di meditazione ecc.

Dai nostri uffici casalinghi, almeno noi del settore turismo, in un primo momento abbiamo dovuto gestire oltre l’emergenza sanitaria, il rimpatrio e la messa in sicurezza di tanti passeggeri che in quei giorni erano da qualche parte del mondo o che erano in procinto di partire.

Le nubi nere con il loro carico di sofferenza nel frattempo si erano espanse in quasi tutti i cieli del mondo e quindi tutti ci siamo resi consapevoli che avremmo dovuto fare i conti con una situazione che avrebbe comunque sconvolto le nostre vite e che richiedeva pertanto grandi doti di resilienza nel gestire una sfida così abnorme.

La prima preoccupazione è stata quella di assistere passeggeri in difficoltà, organizzando il loro rientro in patria, garantendo assistenza.
Nel frattempo abbiamo dovuto gestire le prenotazioni per partenze più immediate, monitorando giorno dopo giorno l’evolversi della situazione nel mondo.
Dare rassicurazioni a chi era già prenotato per viaggi non con partenza immediata.

In questo scorrere del tempo non certo allegro e produttivo, è iniziata la fase dei webinar, delle riunioni via web, delle “conference call”,


delle “digital classroom” e anche delle “librerie” che facevano da sfondo a tanti collegamenti. 
Librerie che denotavano anche lo stile di vita, il tipo di letture, dell'interlocutore.

Nel giro di pochi giorni ho dovuto adattare il mio cervello a nuove forme di comunicazione, ho scoperto App di ogni genere, ho dovuto studiare come si crea una lezione on line e termini come Zoom, Google Meet, Teamworking, sono diventati pane quotidiano.

La mia agenda la stavo usando per pianificare "appuntamenti virtuali".

Mi sono dovuto cimentare anche con una lezione di tecnica turistica svolta completamente on line. 
Ricordo ancora quel pomeriggio in cui dopo aver preparato una “carrellata” di slides, mi ritrovai a stare quasi tre ore a parlare davanti ad un computer mentre le immagini scorrevano, sapendo che da qualche parte ci stavano ventisei persone di cui, oltre ad una sigla, non sapevo chi fossero, che volto avessero ed era una sensazione strana. Ogni tanto chiedevo se ci fossero perché provavo la sensazione di parlare a un pubblico che non esisteva. 

Le mie lezioni d’inglese che avevo programmato di frequentare nella bella sede della scuola cui mi ero iscritto, le cominciai a svolgere da casa, condividendo un’ora con altri studenti e studentesse collegate da ogni parte d’Italia e anche in questo caso solo il nome e cognome e tanta curiosità nel pensare quale volto potessero avere. L’unico viso che vedevamo era quello dell’insegnante!.

Sere scandite da bollettini simili a resoconti di una giornata di guerra e in alcune di queste sere, arrivava il nostro Primo Ministro che con la sua oratoria forense, il suo appeal, il suo stile elegante, da una parte ci creava più ansia e contemporaneamente cercava di rassicurarci con parole tipo “potenza di fuoco”, “una valanga di miliardi in arrivo”, tante parole che sono rimaste delle belle parole.

Era gennaio e adesso siamo arrivati ad agosto. Sono passati otto mesi e, purtroppo, le notizie che arrivano non sono certo incoraggianti e non fanno intravedere un autunno roseo.

Personalmente ho cercato di adattare la mia vita, i miei pensieri, le mie abitudini a tutto quello che fosse necessario per gestire la sfida, nella speranza che nel momento in cui si fosse esaurita l’emergenza, si potesse ritornare a riprendere i nostri ritmi.

Non sono stato con le mani in mano, ho continuato a studiare, a leggere libri che mi possano essere di aiuto per modellare il lavoro su forme diverse di approccio alla vendita.
Ho scandagliato nel mare dei contatti quelli che mi possono essere più utili.
Sto pensando a come poter mettere a frutto la mia quarantennale esperienza. Sto cercando di mantenere alto il morale dei collaboratori più vicini a me e nel mio piccolo cerco anche di diffondere pillole di positività verso i colleghi e le colleghe che fanno parte di questo nostro meraviglioso settore, oggi messo veramente alle corde come se fosse un pugile a terra che sta cercando in tutti i modi di risollevarsi prima che il giudice di gara arrivi al dieci nel countdown.
Mentre scrivo, mi accorgo di come tanti anglicismi di cui si è fatto uso spropositato specialmente nel lockdown siano ormai parte d noi!.

Reagire, non farsi sopraffare dalla paura, continuare a crederci, tutto bello e tutto può essere di aiuto, però penso che dentro di ognuno di noi ci sia una “ragione di vita”, quella leva che è il nostro motore, il carburante che riempie il serbatoio delle nostre vite.

In tanti che fanno questo lavoro e l’hanno sempre fatto con grande passione, con dedizione, dando se stessi al lavoro, superando tanti momenti difficili, il nostro carburante non è starsene in una stanza collegati a un computer e cercare di chiudere una vendita, anche se oggi si vorrebbe trasformare ogni rapporto in un rapporto virtuale.

Il nostro carburante è sapere che la mattina quando ci svegliamo, tra le diverse leve del giorno (perché nelle nostre vite abbiamo anche le famiglie, gli amici, i nostri hobbies) ci sono i nostri uffici, non importa se su strada o in un lussuoso appartamento. 
Ci sta il bar preferito vicino la nostra sede, dove prima di entrare in ufficio, ci prendiamo il nostro caffè (e ognuno ha il suo tipo di caffè!) o dove andiamo quando la giornata si fa più intensa. 
Ci aspettano i nostri collaboratori con i quali condividiamo le nostre giornate e con i quali vogliamo raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. 

Sentiamo la necessità di tornare a confrontarci con i nostri sales che ci venivano a trovare e spesso erano ospiti non graditi perché interrompevano le nostre occupazioni, ma poi alla fine tutto si stemperava in una chiacchierata e in un sorriso, e ci piace stare lì a discutere per un punto in più di commissione.

E soprattutto ci manca la nostra leva più importante: il rapporto con il cliente.

Un rapporto che negli ultimi anni è stato offuscato da tante situazioni che hanno fatto apparire il ruolo dell’agente di viaggi o del consulente di viaggi (cambiano le parole ma sempre viaggi si vendono) superato, obsoleto e poi ci si accorge di quanto sia importante il ruolo di un professionista in qualsiasi settore (vale per l’avvocato, per il medico specialista, per il consulente finanziario, per l’agente immobiliare).

Un rapporto che anche a causa di norme legislative non sempre chiare e precise, ha ampliato attriti tra cliente e agenzia di viaggi, attriti spesso fomentati anche da pseudo avvocati o da alcune associazioni che vedono sempre nelle agenzie la “bestia nera” e spesso non conoscono minimamente le dinamiche di lavoro di un’agenzia.

Io sono un “vecchio agente di viaggi” (su sessanta anni di età, ben quaranta di turismo) e ancora ho forte in me il desiderio di tutte quelle sane abitudini che hanno rappresentato gran parte della mia vita professionale.

Finché ne avrò la forza, non mi farò abbattere dal “giudice di gara” che vuole sentenziare una mia fine.

Continuerò a credere fermamente nel mio ruolo, consapevole delle mie capacità, del mio passato professionale. 
Questo blocco mi è servito anche per uscire ulteriormente da ulteriori “zone di confort” e addentrarmi in situazioni che mi apparivano complesse e si sono dimostrate più facili di quanto pensassi.

Purtroppo per la fine della pandemia devo solo appellarmi alla speranza e se comunque anche questa pandemia dovesse continuare per un tempo indefinito, dovremo tutti adattarci. 
In qualche modo dovremo pure continuare a godere del bene prezioso insito nel viaggiare. 
Lo dovremo fare con più cautela, con più restrizioni, dovremo essere più pazienti nel rispettare procedure ma questo non deve significare non viaggiare più.

Arriverà il giorno in cui questo maledetto virus sarà sconfitto e festeggeremo alla grande quel momento.



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